Sulla tela si firma edlP, all’anagrafe è Enrico De Luca Picione. Su Instagram è un “half lawyer/half artist” e c’è da dire che questo giovane ragazzo riesce a far convivere il suo titolo da professionista con la sua passione per l’arte in modo assolutamente abile e discreto. Classe ’85, edlP ha esposto le sue opere lo scorso febbraio presso L’Archivio 14 di Roma: grazie la prima mostra amatoriale il passa parola si è fatto sempre più vivo ed ora Enrico risponde sempre più spesso alle richieste da parte di amici e conoscenti che vedono i suoi lavori e ne rimangono entusiasti. Categorizzare le sue opere in una corrente artistica sarebbe limitante: Enrico ha iniziato ispirandosi al futurismo e al cubismo e adesso viaggia esplicitamente verso i lidi della pop art e della street art. Lo incontriamo a Roma in Via Tripolitania, chez Dolce ovvero il California Bakery della Capitale. Mentre cheesecakes e brownies ci sfrecciano intorno, facciamo qualche battuta sull’arredamento del locale: Enrico infatti sta cercando una casa con angolo atelier da ornare con pezzi di industrial interior design.
Lo ammetto: è la prima volta che mi capita di incontrare un “metà avvocato/metà artista”. Molti giuristi sono famosi perché con la laurea accedono direttamente al titolo di “Maestro del sapersi rigirar la frittata”. Insomma, brillano per abilità oratorie e per essere irriducibili lavoratori ma non per estro e talento creativo. Come è possibile per te sposare due professioni così diverse e lontane tra loro?
Per me è possibile nella misura in cui il mio lavoro mi impone necessariamente un fortissimo freno alla creatività. Poche cose si creano e tutto si trasforma e si adatta. Dipingere è dunque per me uno sfogo, un terreno dove invece sono io a creare quando, come e dove voglio, in cui non ci sono limiti se non il cielo! Anche per questo fare qualcosa su commissione, per adesso, mi risulta molto ostico. Se quello che sto facendo non piace a me non riesco a farlo bene come vorrei.
Ho visto alcune tue prime opere ispirate a Depero e Balla: per impronta artistica e tema sono dichiaratamente futuriste eppure già ci sono richiami alla pop art nei colori, per esempio col famoso blu Tiffany. Questo passaggio da una corrente artistica all’altra è stata un’evoluzione o un cambiamento voluto?
Diciamo che sono tutte correnti che mi piacciono molto. Che per altro hanno più punti di contatto di quanto si possa pensare. Ad esempio un quadro che io ho parzialmente riprodotto è “The Red Horseman” di Roy Lichtenstein: ecco, “l'originale” di questo quadro è futurista, di Carlo Carrà, ripreso poi un quarantina di anni dopo da Roy Lichtenstein, e modellato in stile pop art. Parimenti la street art ha spesso lo stesso approccio nei confronti della pop art quando raffigura le celebrità.
Con la conversione alla Pop Art, hai iniziato a spaziare nel ritrarre personaggi: icone dell’arte, del cinema, della musica e dello sport. Grandi nomi come The Joker, Liam Gallagher e Michael Jordan, solo per citarne alcuni. C’è molta America in queste tele, probabilmente tutti personaggi che anche Andy Warhol avrebbe scelto, se solo fosse stato ancora in vita. Cosa pensi della sua attività di artista e della Factory?
Andy Warhol lo considero sinceramente un genio, e non credo di essere l'unico. Amo il suo concetto di arte che doveva essere “consumata” come un qualsiasi altro prodotto commerciale. Ribadiva anche spesso che i prodotti di massa rappresentano la vera democrazia sociale: “Anche il più povero può bere la stessa Coca Cola che beve Jimmy Carter o Liz Taylor”. Le celebrità sostituivano i santi e le madonne rinascimentali, erano loro ormai ad ispirare e guidare l'uomo verso il successo. Ora sembra quasi banale, ma negli anni ‘60 lo era meno. La Factory rappresenta un periodo molto particolare, dove appunto la celebrità stava diventando la nuova religione di stato. Ritengo che questo abbia portato Andy Warhol a circondarsi di personaggi più o meno controversi. Ma insomma who cares, l'arte solo conta!
Cosa consiglieresti ai giovanissimi che vorrebbero coltivare il loro talento in questo campo? E’ un momento difficile, in cui l’artista è inflazionato e poco considerato o pensi che il talento prima o poi possa premiare i coraggiosi che perseverano?
Non credo si tratti di una questione di talento, l'obiettivo non deve essere quello di sfondare, ma di esprimersi attraverso quello che si fa. Certo è più rassicurante, ad esempio, andare in curva a tifare la propria squadra, lo fanno tutti, è una cosa da Uomini veri, non lascia dubbi. Ma è cosi banale. Per me non c'è nulla di peggio del già visto, del banale, del volgare, del brutto, dell’ “è cosi”. La prima cosa è fare quello che ci si sente di fare: chi giudica spesso lo fa perché ha una vita molto piatta, e poi insomma più haters si hanno più vuol dire che si sta facendo davvero qualcosa di “diverso”.