"Lo scopo di questo progetto è di ricongiungerci con il mondo come era prima che l'uomo lo modificasse fino quasi a sfigurarlo". Così ha presentato il suo ultimo lavoro, il fotografo Sebastião Salgado all' inaugurazione della mostra "Genesi. Fotografie di Sebastião Salgado", aperta al pubblico dal 15 maggio al 15 settembre presso il museo dell'Ara Pacis di Roma. A cura di Lelia Wanick, compagna di vita e da sempre musa ispiratrice dell'artista, la mostra è stata inaugurata contemporaneamente a Londra, Rio de Janeiro e Toronto. Il grande fotografo, brasiliano di nascita, ma da trent'anni residente a Parigi, attraverso oltre 200 scatti rigorosamente in bianco e nero - tratto imprescindibile della sua concezione di fotografia - , ci conduce in paradisi incontaminati e non ancora perduti. Le cinque sezioni in cui è suddivisa la mostra (Il Pianeta Sud, I Santuari della Natura, L'Africa, Il Grande Nord, L'Amazzonia e il Pantano) ritraggono la geografia del viaggio di Salgado, che in oltre otto anni e trentadue spedizioni, si è spinto verso i luoghi più belli e inviolati del nostro Pianeta. L'ha fatto a piedi nudi, su navi e canoe, in volo su mongolfiere e aerei ultra leggeri. "L’ho chiamato Genesi perché, per quanto possibile, desidero tornare alle origini del pianeta: all’aria, all’acqua e al fuoco da cui è scaturita la vita; alle specie animali che hanno resistito all’addomesticamento; alle remote tribù dagli stili di vita cosiddetti primitivi e ancora incontaminati; agli esempi esistenti di forme primigenie di insediamenti e organizzazione umane. Nonostante tutti i danni già causati all’ambiente, in queste zone si può ancora trovare un mondo di purezza, perfino d’innocenza". Senza ambizioni antropologiche, geologiche o giornalistiche, ma semplicemente da fotografo e artista qual'è, Salgado ci conduce verso la contemplazione di habitat sconosciuti, in cui l'armonia tra natura, animali e uomini è ancora inalterata. Sono di una suggestione quasi lirica le immagini che l'obiettivo del fotografo è riuscito a immortalare… Le rughe delle rocce degli altipiani etiopi, i corpi antichi e nodosi delle tribù Yali - in Papua Nuova Guinea - , gli abiti leggeri fatti di fibre di orchidea di alcune donne indonesiane, un temporale sui monti del Madagascar, rappresentato in scoppi di luce che tagliano il cielo, gli iceberg della Penisola Antartica, fiere cattedrali di ghiaccio… e gli occhi degli animali, soprattutto quelli. Balene, iguane, cormorani magellanici, gorilla, giaguari, i soggetti scelti da Salgado non parlano, eppure i loro occhi trasmettono un'impercettibile curiosità, come se attraverso il suo obiettivo, Salgado fosse riuscito a cogliere l'ancestrale comunicazione tra l'uomo e l'animale, il profondo legame che da sempre li lega. Il fotografo si è immerso totalmente in ogni immagine che ha scelto di regalarci, quasi avesse voluto scomparire per non interpretare nulla, per non disturbare o "mentire", seppure artisticamente. E' un'esortazione a riscoprire il bello, questa mostra, a tutelarlo. L'esposizione sarà ospitata in oltre trenta musei del mondo. Gli scatti saranno poi riuniti in un libro di divulgazione, e in un altro di grandissimo formato per collezionisti. Inoltre, le fotografie saranno la base di partenza per un documentario di sensibilizzazione ai temi dell'ecologia, che Juliano Salgado (figlio del grande fotografo) sta girando con Wim Wenders. Da vent'anni c'è un grande risveglio di consapevolezza e coscienza ambientale, questo è il contributo di Sebastião Salgado per continuare ad approfondirla. Imperdibile.