Sempre caro ci fu quest'ermo Leopardi. È forse l’autore più studiato nelle scuole italiane, tutti conoscono le sue poesie, il suo male di vivere e l’amore platonico per Silvia. Il borgo marchigiano di Recanati ha ricevuto una fama immortale grazie al suo più illustre cittadino, e ha ricambiato dedicandogli vie costellate di suoi versi, una statua nella piazza omonima davanti al Palazzo Comunale, un percorso che conduce al colle de “L’Infinito” in cui troviamo l’incipit della poesia, la piazza del "Sabato del villaggio", la torre intitolata al “Passero Solitario”. Giacomo Leopardi è uno dei personaggi più complessi della letteratura italiana, un intellettuale schivo, che preferiva trascorrere le sue giornate nella fornitissima biblioteca di famiglia, in cui dichiarò di aver passato “Sette anni di studio matto e disperatissimo”, tra volumi di ogni genere, padroneggiando già da piccolo materie umanistiche e scientifiche, il latino ed il greco. La sua erudizione sopra la media mise in fuga il precettore che chiese al padre (il conte Monaldo) di occuparsi solo degli altri figli, perché a quel bambino non aveva niente da insegnare. Nella dimora al centro del piccolo borgo, ancora abitata dai suoi eredi, è possibile visitare la celebre biblioteca che raccoglie circa 20.000 volumi antichi ed è tuttora una meta per gli studiosi di tutto il mondo. Monaldo Leopardi, a costi elevatissimi, la teneva sempre aggiornata con l’intento di aprirla ad amici e cittadini. Il giovane Giacomo cercava di sfruttare il più possibile la luce solare e spesso leggeva seduto a quella finestra dove scorse una certa Teresa, che filava fuori dall’edificio davanti, residenza della servitù. Leopardi se ne innamorò e anni dopo, colpito dalla sua morte, le trovò uno pseudonimo (tratto dall’Aminta del Tasso) scrivendo per lei “A Silvia”. In questi giorni alla 71^ Mostra del Cinema di Venezia è stato presentato “Il giovane favoloso”, diretto da Mario Martone, in cui Elio Germano da il volto ad uno dei nostri scrittori più apprezzati. Già il titolo è evidentemente un omaggio. Sorge spontaneo chiedersi come mai non ci avessero pensato prima, perché il cinema metta in scena più volte le vite di alcuni personaggi e ne ignori altri. Sicuramente quando ci si avvicina ai miti non è semplice trovare il modo di rappresentarli. Martone sembra abbia scelto di dare voce alla doppia anima del poeta recanatese, da una parte chiuso in sé stesso, dall’altra desideroso di conoscere il mondo, scontrandosi con una critica che – come spesso avviene con i grandi – non capì subito il suo genio. Elio Germano interpreta al meglio la malinconia leopardiana, cita i suoi versi e aggiunge un pizzico di vivacità al personaggio. Gran parte dei critici hanno parlato subito di un possibile secondo Leone d’Oro consecutivo per l’Italia, o almeno una Coppa Volpi per Germano. Chissà se all’originale sarebbe piaciuto un riconoscimento o avrebbe preferito rimanere nell’ombra, perché il giovane favoloso confessò in una lettera “Io non ho bisogno di stima, né di gloria, né di altre cose simili; ma ho bisogno d'amore.”