Alice Howland sta festeggiando il compleanno con la sua famiglia. Il genero le chiede dell’infanzia delle sue figlie e per un istante la donna si ferma, ricorda, e gli risponde raccontandogli di com’erano da piccole lei e sua sorella. Un piccolo malinteso, una distrazione, forse dovuta a un bicchiere di troppo. Ma per Alice, sebbene ancora non lo sappia, questo è il primo segno di cedimento. La sua battaglia contro Alzheimer, purtroppo persa in partenza, è cominciata. La protagonista è una donna alla soglia dei cinquanta che è riuscita ad avere tutto nella sua vita: una carriera da insegnante e ricercatrice affermata, tre figli, un matrimonio felice. E la la diagnosi che le viene fatta, nonostante stravolga lentamente la sua quotidianità, non la intacca nello spirito. Esercizi per la memoria, memorandum, questionari. Il cellulare e le medicine sono i suoi alleati e non trascura neanche la possibilità di una soluzione estrema per non soccombere inerte alla malattia. Alice è una donna determinata, intraprendente, che viene privata dei ricordi del suo passato e della possibilità di avere un futuro, ma che lotta per avere il controllo di quegli istanti di lucidità che il presente le offre. Richard Glatzer e Wash Westmoreland, coppia nel lavoro e nella vita, costruiscono una sceneggiatura coincisa ed efficace che dà libero spazio alla loro regia, in cui dissolvenze, lente messe a fuoco e ricorrenti primi piani di Alice sottolineano visivamente la progressiva perdita di identità, dinamismo e vitalità della protagonista. E se tutto questo funziona (e anche bene) è merito di colei che fa da colonna portante al film: Julianne Moore, in un’interpretazione toccante che le è valsa la quinta candidatura all’Oscar. Accanto a lei un cast molto talentuoso, di cui una nota a parte merita Kristen Stewart, che interpreta la figlia della protagonista, Lydia. Il rapporto tra le due è centrale alla storia ed è interessante vedere a confronto due attrici così distanti per stile e generazione: la performance della Moore risulta misurata ed emozionante, quella della Stewart è troppo austera ed essenziale per commuovere ma proprio per questo è ancora più credibile e incredibilmente moderna. “Still Alice” è un film delicato e scarno che tratta con onestà e gran rispetto ciò che vuole raccontare. La storia di una donna che non si rassegna a essere ferma, immobile, passiva. L’Alzheimer la stringe sempre di più nella sua morsa ed Alice non è più Alice, ma chiunque sia ora, essa vive, sente e si può ancora emozionare.