Quando si pensa alle arie più celebri dell'opera italiana, non si può far altro che iniziare a canticchiare "Casta Diva". Il Teatro Regio di Torino, nell'ambito dell'iniziativa "The Best of Italian Opera", ha così deciso di riportare in scena la Norma di Bellini con l'allestimento originariamente pensato da Vittorio Borrelli nel 2002 e ora ripreso dal regista Alberto Fassini. L'opera, composta nel 1831, racconta sentimenti più che azioni. L'amore che sboccia e l'amore che finisce, il tradimento, la vendetta, il pentimento, l'amicizia. Tutto si gioca sulle interpretazioni degli attori, messe a repentaglio da alcune sfortunate scelte registiche. Il passo dal sublime al comico è molto breve, e dare corpo a un dramma che presenta notevoli diffocltà musicali non può che essere una sfida. Fra comparse e coro il palco del teatro è davvero affollato. Sempre in ordine, tutti disposti in formazione militare, persino in posa da foto di classe (con le prime file inginocchiate e poi a salire con i più alti in fondo). Il risultato è una massa di persone con una carica drammatica che rasenta lo zero. La scenografia è certamente suggestiva, ma sembra un ardito miscuglio fra la Gallia occupata e le caverne dei primitivi. Immensi ammassi rocciosi semoventi scivolano davanti a fondali dipinti molto retrò, a volte incagliandosi qua e là, generando un effetto tremolio che rende la scenografia non molto credibile. Dunque il fondale è di pietra, il letto dei poveri pargoli di Norma è di pietra, il tempio delle sacerdotesse è, di fatto, una grotta. Immancabilmente, l'altare di Norma è un agglomerato roccioso, unico esempio di dolmen a rotelle, azionato a braccio dai soldati che sembrano non avere altra utilità se non ancorare l'altare al pavimento prima della salita della sacerdotessa. Inspiegabile e sadica la scelta di infagottare i soldati sotto strati di pellicce, affiancati da una Norma e un'Adalgisa comodamente drappeggiate in tuniche alla romana. Il colpevole è William Orlandi, autore di scene e costumi, forse più impegnato a cancellare il nostro ricordo della Gallia di Asterix e Obelix più che a creare un ambiente verosimile. In questo tripudio dell'immobilità non si può far altro che sfoderare il binocolo e concentrarsi sui volti e sulle performance dei cantanti. Norma è la bravissima Maria Agresta, forse non eccezionale nella recitazione ma precisa e coinvolgente sul piano vocale: i suoi duetti con l'Adalgisa di Veronica Simeoni sono fra i momenti più intensi dello spettacolo. Pollione, il proconsole di Roma impersonato da Roberto Aronica, canta con fin troppa energia, lanciandosi con impeto verso il proscenio, scatenando applausi e urla nella platea. Insommma, le bellissime voci degli interpreti garantirebbero un successo se incise su disco. Ma lo spettacolo non aggiunge niente di nuovo al vecchio allestimento, e in qualche momento ci fa rimpiangere le risse gallo-romane dei fumetti.
Qui la locandina con il cast completo:
http://www.teatroregio.torino.it/node/4698/locandina